A passo di Walzer - il CD

Dal Ländler al Walzer classico: un inedito repertorio pianistico per pianoforte a quattro mani.

Attraverso questo CD si è tentato di delineare un percorso significativo del Walzer, danza il cui nome evoca magicamente un periodo storico fortemente associato alla corte Asburgica. Partendo dal Ländler e dal Deutscher Tanz, danze che preannunciano il Walzer classico, si sono scelti dei brani dal vasto repertorio pianistico per pianoforte a quattro mani e quindi da compositori che hanno scritto Walzer in versione originale per questa formazione cameristica (tra gli altri Friedrich Kuhlau, Ignaz Moscheles, Moritz Moszkowski, Eugene d’Albert, Johannes Brahms, Edward Grieg, Max Reger, Christian Sinding, Paul Hindemith).

W. Amadè Mozart (1756-1791) – Sechs Ländlerische Tänze (Kv 606)

Il 7 dicembre 1787, Mozart venne nominato dall’imperatore Giuseppe II K. und K Kammermusicus, compositore da camera di corte, carica che richiedeva la composizione di musiche da ballo per i periodi dell’anno relativi ai balli che si tenevano nella grande e nella piccola Redoutensaal di Vienna, in cui, oltre a determinate feste di corte, venivano dati concerti pubblici e balli in maschera (i quali si svolgevano ogni domenica di carnevale, il giovedì grasso e gli ultimi tre giorni di carnevale). La paga era di soli 800 fiorini all’anno, e quindi più simbolica che altro, ma l’incarico era di un certo livello sul piano del prestigio (fino ad allora questa funzione era stata di Christoph Willibald Gluck [1714-1787], il quale, per i suoi meriti di compositore di fama europea, prendeva già un’elevata pensione riconosciutagli dall’imperatrice Maria Teresa, deceduta nel 1780). Con questa nomina l’imperatore, oltre che riconoscergli il merito di grande compositore, tentava di sviare Mozart dal progetto, accarezzato più volte, di trasferirsi all’estero, possibilmente in Inghilterra. Dal momento della sua nomina e per tutti gli anni 1788, 1789, 1791 Mozart compose molta musica da ballo.

 Tra i generi musicali toccati dal salisburghese, infatti, non manca una sconfinata produzione di musica da ballo (minuettiLändler, contraddanzequadrigliedeutsche Tänze), scritta per vari strumenti, spesso con un organico militare, o addirittura con strumenti assai ricercati, quali la lira, forse una derivazione della lira da braccio (trio del minuetto Kv 601, n°2). Nell’anno 1790 non compaiono composizioni da ballo, probabilmente a causa della morte di Giuseppe II nel febbraio di quell’anno, fatto questo che fece sospendere feste e balli in quel carnevale.

Queste sei piccole danze in forma di Ländler sono tutte nella tonalità di si b maggiore. Il catalogo delle composizioni di Mozart, redatto da lui medesimo dal mese di febbraio del 1784 all’anno della sua morte (l’ultima composizione riportata è infatti del 15 novembre 1791) (Verzeichnüß- ׀ – aller meiner Werke – ׀ – vom Monath Febraio 1784 bis Monath – ׀- Wolfgang Amadé Mozart), sotto alla data del 28 febbraio 1791 riporta:

1 Contre-Danse. Il Trionfo delle Donne. und 6 Landlerische.

I motivi e la struttura presenti nei Ländlerische Tänze rispecchiano lo stile praticato ancora oggi dai violinisti dell’Alta Austria nell’accompagnare le loro danze. Il carattere è estremamente popolare, ma non privo di intima dolcezza (n°3 e n°6). Mozart scrisse questi Ländler per due violini e basso, e da quest’organico sono state ricavate versioni per un pianoforte solo e quella presente per pf. a 4 mani (ed. Bärenreiter, 1967), in cui la struttura di base resta identica all’originale, con il solo raddoppio della parte del primo violino affidato al primo esecutore.

Friedrich Kuhlau (1786-1832) – Sechs Walzer op. 28

Kuhlau, compositore e pianista tedesco naturalizzato danese, è noto soprattutto per le sue sonate e specialmente per le sonatine (op. 20) per pianoforte, studiate dagli allievi di questo strumento alle prime armi. Egli rappresenta probabilmente il caposcuola della scuola musicale danese. Cieco da un occhio per un incidente subito a sette anni, si dedicò comunque allo studio del pianoforte ed alla diffusione delle sonate per pianoforte di Beethoven. Trasferitosi in Danimarca in seguito all’occupazione napoleonica (1810), divenne concertista di corte a Copenaghen e noto didatta. Di un certo rilievo è anche la sua produzione di musica da camera, per il flauto ed operistica.

Kuhlau ha scritto diverse composizioni per pf. a 4 mani, tra cui la sonata op 8b, le celebri sonatine op. 17, 44 e 66 ed i Walzer op 24 e 28. Pur risentendo di una certa influenza beethoveniana il suo stile è estremamente personale: elegante, fresco, vivace, a tratti capace di un profondo lirismo e malinconia, e tendente ad evidenziare il timbro più acuto e brillante del pianoforte.

I sei Walzer in questione op. 28 (pubblicati tra il 1821 e il 1822) sono assai brevi nella forma, avendo poche sezioni. Essi tradiscono il carattere che identifica il loro autore, per es. figurazioni ricorrenti nelle sue composizioni pianistiche: scale di terze discendenti (n°1, secondo esec.), ottave che richiamano al timbro orchestrale degli ottoni (n°2), peculiarità armoniche: l’uso della tonalità allora piuttosto inusuale di si b minore del quarto richiama all’introduzione di una scena lirica. Ricchi di grazia, di un colore strumentale consono al loro tempo, sono un esempio tipico e rappresentativo del primo Walzer, tra la tradizione e lo slancio del nascente romanticismo.

Franz Schubert (1797-1828) – Deutsche Tänze op. 33

Schubert scrisse molte composizioni per danza che, nel suo tempo, da composizioni popolari passavano a rappresentare la classe borghese, ed erano eseguite nei salotti privati, cedendo così il ruolo orchestrale quasi esclusivamente al pianoforte solo o a quello a 4 mani. Queste composizioni, inoltre, non dovevano rappresentare esclusivamente l’occasione di un ballo, ma potevano avere semplicemente uno scopo aggregativo, o essere il pretesto per una dedica.

Quasi tutte le musiche da ballo di Schubert (minuettiLändlerDeutsche TänzeWalzerGalopÉcossaises e Polonaises) sono scritte esclusivamente per pianoforte solo e qualche volta per pf. a 4 mani (4 Polonaises D.599, un Deutscher Tanz e due Ländler D.618, 4 Ländler D.814, sei Polonaises D.824), e comunque non bisogna dimenticare che Schubert è tra i pochi compositori che ha scritto più musica originale per pf. a 4 mani in tutta la letteratura pianistica di questo genere. Non è raro incontrare in Schubert, all’interno di un Walzer o di una danza tedesca, un trio. Questa forma è tipicamente schubertiana. Non è stato sempre facile dare una catalogazione precisa alle danze di Schubert, nate spesso individualmente, sparse nei diversi anni di composizione. Sovente i pezzi più disparati sono stati riuniti in una serie in relazione all’anno di pubblicazione (ma non seguendo il criterio della loro composizione cronologica) sotto un determinato numero d’opera, e perciò si riscontra una sovente differenza di carattere tra una sezione e un’altra, così come il cambio delle tonalità – spesso molto distanti tra loro – tra un brano e l’altro. Anche questi Walzer in programma portano comunque il numero di catalogo dato loro dal musicologo e bibliofilo viennese Otto Erich Deutsch (1883-1967) che per primo ha eseguito la catalogazione delle opere di Schubert (prima stesura 1951), contrassegnate così dalla lettera D.

Schubert è l’autore dell’insondabile, di una musica che, se ha qualche volta carattere spensierato, quasi mai, se non addirittura mai, può definirsi “felice”; egli è il compositore dell’inadattabilità, della ricerca dettata da una nostalgia indefinibile, e le modulazioni che caratterizzano il moto del Wanderer ne sono lo strumento. Anche le danze risentono di questo stato d’animo e, inconfondibili, assurgono ad una vera e propria trasfigurazione della danza, cosicché delle danze – molto spesso – conservano solo la forma, divenendo – data anche la brevità delle sezioni – solo un pretesto per esprimere un momentaneo stato fugace del sentire, caratteristica essenzialmente romantica.

Le 16 Deutsche Tänze dell’opera 33 (D. 783) – qui nell’edizione Peters di Lipsia per pf. a 4 mani – presentano, in genere, un carattere molto più vivace e tra loro contrastante di quelle dell’opera 18. Constano, come per l’opera 9 e 18, di danze scritte in epoche differenti, in questo caso sia nel 1823 (la sesta e la settima), sia nell’estate 1824 (a Zseliz, presso gli Esterházy), o nei mesi successivi al soggiorno estivo. Esse sono state poi riunite dal compositore in vista di una successiva pubblicazione (1825).

La prima danza (la magg.) fa a mo’ di introduzione assai vivace, con gli accenti spostati sul terzo quarto nella seconda parte della sezione, mentre la seconda (re magg.) è più intima e di carattere opposto alla precedente.

La terza (si b magg.) mostra un motivo reiterato e quasi pesante che le conferisce il tipico carattere popolare del Ländler.

La quarta (sol magg.) svetta con le sue impennate ritmiche e l’accentuato carattere di danza.

La quinta (si min.), ansiosa e mossa, porta l’accento sul secondo quarto.

La sesta (si b magg.) e la settima (stessa tonalità), fanno coppia per la loro differenziazione intrinseca: la sesta, vicina alla quarta, si identifica attraverso un’estrema vivacità di movimento, mentre la settima rappresenta lo Schubert che si confessa: puro, intimo e semplice.

La danza n°8 (mi b magg.) è scoppiettante e caratterizzata, nella prima e terza misura, dal salto di sesta e rispettivamente di settima con accento sul secondo quarto e, nella seconda parte della sezione, dall’alternanza di accenti in tempo forte sulle prime due misure e da accenti sul secondo quarto nelle due successive.

La n°9 (do magg.) trabocca di vitalità e di rigore, con una progressione nella seconda parte della sezione, in crescendo, che conclude nell’affermazione imperiosa della tonalità d’impianto.

Le ultime danze di quest’opera, specialmente quelle più lente, toccano livelli magistrali e identificano vieppiù sia lo stile che il carattere interiore di Schubert.

La n°10, in la minore, è malinconica e mesta; la seconda parte si avvale di due armonie differenti per le prime otto misure: il motivo di risposta ha l’accordo diminuito sulla dominante la prima volta, mentre contiene una modulazione improvvisa sul secondo grado abbassato di la min., si b, creando quel colore di sesta napoletana caratteristico di uno stato malinconico, per poi ritornare immediatamente alla dominante e concludere (ultime otto misure) con un motivo a mo’ di progressione che veramente è quanto di più schubertiano possa incontrarsi, nel senso di una perdita o di un commiato.

La n°11 (mi min. < sol magg.), nella sua vivace spigliatezza – e almeno nella prima parte della danza – prelude al romanticismo più puro di Schumann.

La n°12 (do magg.) richiama ad un semplice stile di Ländler.

La n°13 (do magg. < la min. > do magg.) è vicina per gusto e configurazione alla n°11, ed in un certo senso dà l’idea di slittamento del ritmo con gli accenti che vengono dati sul terzo quarto.

Sempre allo Schumann più intimo richiamano le prime quattro battute della danza n°14 (fa min. < la b magg. / fa magg.), estremamente sconsolata nella prima parte e che infonde speranza e rinascita nella seconda.

La n°15 (fa min.< la b magg./fa min. < la b magg.) rappresenta ciò che può definirsi veramente un lamento nella sua stessa struttura: nella prima parte, mentre il basso muove su di un pedale di dominante per modulare poi alla relativa maggiore (la b magg.), la parte superiore non fa altro che reiterare due note che formano un intervallo di seconda minore (do – re b), un minimo crescendo dal pianissimo ed un ritorno al pianissimo concorrono ad operare questo miracolo di perfezione. La seconda parte è ancora più lamentosa e il motivo discendente, affidato al primo esecutore (la b – sol – fa) accresce quest’ansia di richieste inattese, fino ad un’imperiosa domanda che conclude con una qualche speranza all’orizzonte.

La danza n°16 (fa magg.) chiude questo ciclo con una inaspettata gioia e rinascita. Qui riprende la vita e il gusto del ballo, che coinvolge fortemente chi ascolta, terminando il tutto in un esuberante gioco di luminoso contrappunto.

 

Johannes Brahms (1833-1897) – 16 Walzer op. 39

Questi celeberrimi Walzer originariamente composti per pf. a 4 mani nel 1865 e dedicati al critico musicale Eduard Hanslick, furono arrangiati dallo stesso compositore per un pianoforte solo sempre nel 1865 (pubblicati in questa versione nel 1867 e così eseguiti ad Amburgo il 15 novembre 1868). Esiste inoltre una versione fatta da Brahms nel 1867 per due pianoforti dei n°1, 2, 8, 11, 14 e 15 (prima esecuzione: 17 marzo 1867 a Vienna, e prima pubblicazione con questo assetto – escluso il n°8 – nel 1897, cioè nell’anno della morte).

Si può affermare che questi Walzer rappresentino il ponte di congiunzione con le forme di danza più elevate di Schubert. Pur vivendo Brahms stabilmente a Vienna sin dal 1863, del Walzer viennese quasi nulla si risente in queste composizioni, ma c’è un richiamo alla danza popolare del primo ottocento, a Schubert – appunto -, ad un’atmosfera sotto certi aspetti schumanniana e ad un colore malinconico tipico del carattere ungherese.

La loro forma è essenziale, breve, ed anche in questo è vicino al walzer schubertiano, oltre che nelle espressioni più intime ed elevate di alcuni di essi. Questo non è il Brahms delle grandi opere pianistiche o strumentali, piuttosto un musicista che, attraverso il pretesto di una danza, esprime la sua interiorità più profonda, come pure un’attrazione legata al gusto popolare o alle atmosfere da Gasthaus, da osteria, (Walzer n°13 in do magg.). Questa musica offre una gamma dei più disparati sentimenti, dall’espressione più intima (n°5 in mi magg., n°7 in do diesis min.), alla nostalgia più accesa ma crepuscolare (n°3 in sol diesis min., n°9 in re min., che si potrebbe definire come un Walzer dei sospiri, e che nella sua scrittura richiama indubitabilmente al mondo più interiore e nascosto di Schumann, n°11 in si min., dal colore vagamente ungherese), al candore più semplice (n°2 in mi magg., n°8 in si b magg.), al gusto più appassionato, veemente e d’impronta più ampiamente strumentale tipico di Brahms (n°4 in mi min., n°12 in mi magg., n°14 in la min., dal gusto prossimo alle danze ungheresi e caratterizzato da forme emioliche all’interno di un ritmo ternario, così come – da questo punto di vista – il n°6 in do diesis magg), al gusto impertinente, canzonatorio e quasi leggero dei n°6, 10 (do magg.) e 13, per arrivare agli stati d’animo più intimi e sognanti del n°15 (la magg.), prossimo al notissimo Wiegenlied op. 49 n°4.

Il Walzer d’introduzione in si magg. sembra aprire ad una gioia intrinseca rivolta alla danza e alla vita, quasi priva di complicazioni, ma l’ultimo Walzer (n°16 in re min.), conclude una parabola della vita, un effettivo commiato, in silenzio e senza speranze, che già preannuncia la scomparsa di un mondo. E di nuovo viene qui da fare un accostamento ad alcune serie di composizioni pianistiche di Schumann, per es. il brano finale degli Albumblätter op. 124 (il Canon), oppure la coda dell’ultimo pezzo dei Fantasiestücke op. 12, Ende vom Lied. Qui ogni pezzo conclusivo che funge da epilogo e che racchiude la gamma delle composizioni che costituiscono le due serie lascia comunque percepire ancora una speranza ed una continuità. Diversamente, in Brahms l’epilogo di questi Walzer preannuncia già quello che sarà il disfacimento caratteristico di un’epoca al tramonto presente in quei capolavori incontestabili che saranno i Drei Intermezzi op. 117 ed i Klavierstücke op. 119.

Paul Hindemith (1895-1963) – Otto Walzer op. 6, Drei wunderschöne Mädchen im Schwarzwald

Se c’è una continuità tra la decadenza brahmsiana e l’accentuato romanticismo espressionista ed ancora decadente del primo Hindemith questo si riscontra fortemente nei suoi Walzer op 6 del 1916 (come altresì nei 6 Walzer op 22 di Max Reger [1873-1916] del 1898, sempre per pf. a 4 mani, che pure influenzarono i Walzer di Hindemith).

La cosa geniale di questi Walzer è la completezza strutturale e formale già riscontrabile e ben definita in un compositore così giovane. Durante il periodo in cui Hindemith stava terminando il corso di composizione a Francoforte, prendono origine – nel mese di luglio del 1916 – degli schizzi relativi a questi Walzer. Tra la fine di agosto e gl’inizi di settembre vengono terminati (tra Karlsruhe e Francoforte) ed eseguiti per la prima volta il 18 dicembre di quell’anno presso il conservatorio di Francoforte. Si crede che il sottotitolo sia stato dato da Hindemith durante una sua vacanza nella Foresta Nera, al momento in cui i Walzer prendevano corpo.

Struttura chiara che definisce già lo stile e la maturità compositiva del futuro Hindemith: padronanza imitativa e contrappuntistica (n°3, in la b magg.), linee melodiche e lirismo (n°1, in si magg., n°2 in sol diesis min. e n°6 in fa magg.), padronanza della condotta vocale e delle intersecazioni tonali (n°4 in mi b magg.), uso emiolico di contrasto all’interno del ritmo ternario (n°5 in do magg.). Interessante gli accenti spostati e l’ambiguità ritmica tra binario e ternario del n°8 in re min. (stürmisch): al primo tema esposto dal primo esec. ne segue un secondo all’omonima maggiore, contrappuntato al basso da un motivo discendente, temi che rappresentano l’ossatura del Walzer. Il sesto Walzer in fa magg., assai noto, di andamento lento ed estremamente lirico, risente indubitabilmente del mondo di A. Dvořák (non è possibile non risentire tracce dell’inizio della seconda aria in sol b magg. di Rusalka dall’opera omonima del compositore boemo), specialmente nella linea melodica dalla fine della quarta battuta (ove è la modulazione da fa maggiore alla relativa re min.) alla quinta e sesta battuta. E questo clima “slavo” è ugualmente percepibile nel secondo Walzer, di una passione e struggimento assolutamente spettacolari.

Ma il culmine dell’opera si ha con l’ultimo Walzer in si min., che del Walzer porta solamente il nome, ché in realtà è una disgregazione della danza, e di nuovo di un’epoca (non bisogna dimenticare che questi Walzer sono stati scritti in piena prima guerra mondiale). Se in questi brani si nasconde il sentimento semplice di un’anima giovanile (n°1.), o l’ansia nostalgica nel secondo, la civetteria popolare nel terzo, la sospensione tonale e quindi di uno stato d’animo, nel quarto, la semplicità nel quinto, il dolce e appassionato lirismo nel sesto, il tormento e poi la giovialità scherzosa nel settimo, nell’ultimo c’è solo una profonda nostalgia ed una rievocazione del passato, stravolto da ambiguità ed accavallamenti tonali. Prima della fine si ripropone il tema del Walzer iniziale, in un pianissimo che denota solo un ricordo, un rimpianto. Il Walzer si conclude con una dinamica di tre forti su un ostinato del basso sulla tonica si, che sembra più una marcia funebre, e che appunto del Walzer non ha più nulla, ma si trasforma nella decomposizione di tutto ciò che era certezza, per concludere in diminuendo in un pianissimo senza speranza.

 

da KUHLAU, Friedrich | 6 Walzer Op. 28

da SCHUBERT, Franz | Deutsche Tänze Op. 33

da BRAHMS, Johannes | Walzer Op. 39

da HINDEMITH, Paul | Drei wunderschöne Mädchen im Schwarzwald Op.6

Il duo pianistico Duo H4, di recente formazione (2012), nasce dall’incontro fra i pianisti Stefano Cavallerin e Filippo Farinelli, accumunati dall’intento di approfondire e promuovere in special modo il repertorio moderno e contemporaneo dedicato al duo per pf. a 4 mani, con particolare attenzione per la letteratura poco eseguita e poco conosciuta al grande pubblico. Questo CD, “A passi di Walzer”,  è il primo lavoro discografico a tema dedicato alla danza.

Stefano Cavallerin.  Si diploma in pianoforte al cons. F. Morlacchi di Perugia sotto la guida di F. Pacioselli, seguendo contemporaneamente il corso di armonia principale con Roman Vlad. Prosegue gli studi in direzione d’orch. (K. Oesterreicher) e composizione (P. Kont) presso la Musikhochschule di Vienna diplomandosi in quest’ultima materia. Si è dedicato per un breve periodo al concertismo col pianista R. Ryan. Collaboratore del compositore Egisto Macchi, ha svolto attività come accompagnatore di cantanti (corsi con Alfredo Kraus, Gabriel Bacquier, Antonietta Stella) e correpetitore (tra l’altro per la riapertura del Teatro Sociale di Como e per il Rossini Opera Festival). Ricercatore per il Don Juan Archiv di Vienna, è coadiutore dell’istituto di ricerca Studium Faesulanum, sotto l’egida dello stesso Don Juan Archiv. In occasione della conclusione dell’anno culturale austriaco ha composto l’operina “Eine Oper für Büropa” (Linz, Brucknerhaus 1998).

Filippo Farinelli (www.filippofarinelli.com) si è diplomato in pianoforte al Conservatorio “F. Morlacchi” di Perugia, in Musica Vocale da Camera al Conservatorio “L. Campiani” di Mantova, ed ha conseguito il Diploma Accademico di II livello presso l’Istituto Superiore di studi Musicali “G. Briccialdi” di Terni. Si è perfezionato con Paolo Vergari ed ha seguito masterclasses, fra gli altri, con Dario De Rosa, Pier Narciso Masi, Irwin Gage e Dalton Baldwin. Ha inoltre frequentato un corso postgraduate di specializzazione nel repertorio liederistico alla Universität für Musik und Darstellende Kunst di Vienna, nella classe di Charles Spencer. Suona stabilmente con il sassofonista David Brutti, Duo Disecheis (www.duodisecheis.com) e con il violinista Roberto Costa, Duo Komma (www.duokomma.eu). Ha effettuato registrazioni, fra le altre, per le etichette: Brilliant Classics, Tactus e Materiali Sonori.

Di Giusi Checcaglini e Stefano Cavallerin

Tratto dal Booklet del CD “A passo di Walzer” del “DUO H4”